Di tutti i peccati della psicologia, il più mortale è la sua indifferenza per la bellezza. Una vita, in fondo, è una cosa bella, ma, leggendo i libri di psicologia, non lo si immaginerebbe mai. E’ una pura illusione che una psicologia senza anima, senza bellezza e senza piacere possa preparare ad aiutare chi soffre. La medicina, lo sappiamo, ha molte lacune, tra le quali una delle più terribili è legata al rapporto fra credibilità e bugia. Per lo psichiatra un racconto incredibile cade nella sfera dell’irreale e del fantastico, quindi non è vero; per Hillman la sanità di mente è uno stato di malattia mentale né più né meno della schizofrenia, nella quale, però, la descrizione del mondo appare più vicina alla realtà. La vita, intesa come immagini, non sa che farsene di dinamiche familiari e predisposizioni genetiche. Prima di diventare una storia, ciascuna vita si offre alla vista come una sequela di immagini. E intanto, la psicologia senza bellezza diventa vittima delle sue stesse censure cognitive, ogni passione spenta nello sgomitare per una pubblicazione e per una cattedra. Ma l’indagine insaziabile della scienza non è l’unica forma di conoscenza, l’autoanalisi non è l’unica forma di consapevolezza. L’apprezzamento estetico di un’immagine – la propria vita come una storia impreziosita fin dall’infanzia da immagini ed il calarsi a poco a poco dentro di esse – rallenta la fame indagatoria, placa la febbre, la frenesia di scoprire il perché. La bellezza arresta il moto, dice Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae. La bellezza è in se stessa una cura per il malessere della psiche.
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